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iCicero la guida turistica di Terracina
iCicero: Terracina - terracina terra di giganti Nel 1969, una spedizione archeologica fece una scoperta straordinaria: furono trovate, infatti, delle ossa umane appartenenti a cinquanta uomini di alta statura!
Nella zona delle "Terme della Marina", alle spalle dell’attuale piazza Mazzini tra via San Rocco, via Leopardi e via Due Pini, alcuni operai, che scavavano per la costruzione di un fabbricato, scoprirono 50 sarcofagi di terracotta, privi di iscrizioni e di ornamento.
Ogni sarcofago conteneva le ossa di un uomo di statura compresa fra m.1,83 e 2,13; davvero molto alti secondo la media degli antichi romani che non superavano di molto il metro e mezzo.
L'archeologo dottor Luigi Cavallini, esaminò i resti e dichiarò che erano di età apparente fra i 35 ed i 40 anni.
I denti, osservò, erano in condizioni veramente buone, con pochi segni di deterioramento.
Gli interrogativi posti da questo singolare ritrovamento, furono molti: si pensò che quegli uomini così alti, fossero stati membri scelti di uno speciale corpo militare e fossero morti tutti in battaglia.
L'idea, tuttavia, venne contestata in quanto era in uso nell'antichità seppellire i guerrieri con l'armatura completa, mentre nei sarcofagi non c'erano altro che ossa (questo non è vero!, testimoni oculari del ritrovamento parlano di una spada molto grande posta sul fianco di uno dei corpi. ndr).
Da dove provenivano, allora, quei cinquanta uomini? come erano morti e perché erano stati sepolti in una tomba comune?
Purtroppo, gli studiosi dell'epoca non condussero, sul materiale, studi sufficientemente approfonditi da permettere una sicura identificazione e, a causa di deplorevoli negligenze, questa scoperta, come molte altre, rimarrà vaga ed inaccessibile.
Forse questo ritrovamento va ad avvalorare le ipotesi dell’abate siciliano Pietro Matranga  che nel suo libro "La città di Lamo stabilita in Terracina", del 1853 identifica Lamo, cantata da Omero, con la vetusta Anxur, l’attuale Terracina.

Di seguito i passi dell'Odissea che narrano l'arrivo di Ulisse nella terra dei Lestrigoni

"Giungemmo in un porto magnifico, cinto
tutto all'intorno d'altissime rocce;
rupi sporgenti davanti alla bocca si elevano
l'una all'altra di fronte a stringer l'entrata;
tutti spinsero là le navi i compagni,
e tutte furono insieme legate all'ormeggio
l'una all'altra vicine nel concavo porto.
Qui l'onda mai non si muove né molto né poco,
ma chiara si stende silente bonaccia.
Io solo trattenni di fuori la nera mia nave
sull'ultimo lembo del porto, legando
a uno scoglio la gomena; e in cima salito
a una rupe, attesi là in alto in vedetta.
Nessuna scorgevo opera d'uomini
né di buoi, ma fumo soltanto levarsi da terra.
avanti allora mandai due compagni e un araldo
a vedere qual gente nutrita di pane
in quel luogo abitasse.
Presero essi una via pianeggiante ove carri
portavano legna dai monti giù alla città;
e una fanciulla dinanzi alla porta incontrarono
che l'acqua attingeva: la nobile figlia
del lestrigone antifate, scesa alla chiara
sorgente dell'Aetacia, donde suole la gente
l'acqua portare alla rocca. Ora quei tre
le si fecero accanto , le chiesero
chi fosse il re di quel luogo e quale
il popolo a lui sottomesso; e subito quella
indicava il superbo palazzo del padre .
Ed essi, varcata la soglia, veduta
una donna più alta di un monte tremarono
d'improvviso spavento. La donna chiamò dalla piazza
Antifate illustre suo sposo, che in mente
aveva funesta rovina dei ai compagni.
Uno di quelli afferrò e ne fece e ne fece il suo pranzo;
I due altri fuggirono indietro, alle navi.
Ma quello un grido lanciò per la rocca
e d'ogni parte giunsero a mille i lestrigoni:
giganti a vedersi, non uomini erano.
Ci scagliarono macigni contro dai monti
e s'udì per il mare un rimbombo funesto
di navi spezzate e di uomini uccisi:
li tiravano su come pesci infilzati agli arpioni
per farne alla mensa cibo nefando.
Mentre quelli nell'acque profonde del porto
i compagni uccidevano , io con la spada tagliente
recisi le fune che tenevan la nave allo scoglio
e ai compagni gridai di correre ai remi
per sfuggire alla morte; e subito quelli
sgomenti batterono i flutti coi remi.
Così la mia nave scansava sul mare i macigni
enormi. Ma tutte le atre, schiacciate,
affondarono insieme schiacciate nel mare sconvolto.
E navigammo afflitti nel cuore e turbati
per gli amati compagni periti
ma lieti per essere ancora sfuggiti alla morte."



fonti:
www.telefree.it
web.tiscali.it/popobawa
La foto è puramente indicativa